La raccolta di Antonio Lazzari
sabato 8 maggio 2021
Non è raro che le persone di grande sensibilità si innamorino del mondo sin dall’infanzia, cominciando il loro viaggio nella conoscenza attraverso l’osservazione naturalistica e la catalogazione di pietre, di insetti e di oggetti. Di norma è una sorta di iridescenza, reale o concettuale, che segna per sempre il carattere di tali personalità, ed è questa iridescenza che istruisce da subito, e per sempre, sulla posizione da occupare rispetto al mondo ed ai suoi fenomeni. È anche frequente che un tale approccio, quello dell’intensa curiosità nei confronti del mondo, si perpetui nel corso degli anni, e segni una vita.
Così è stato anche per Antonio Lazzari, dapprima bambino, poi giovinetto, e poi nel suo primo viaggio verso l’università di Pisa, e quando posò il suo sguardo su Napoli, e poi – ancora - sui territori a lui affidati per la ricerca del petrolio e nella sua attività di docente.
‘Raccogliere’ è stato un aspetto costante e fondamentale del carattere di Antonio Lazzari. E da ‘raccoglitore’ non compulsivo (colui che crede di ‘possedere’ i pezzi della sua raccolta), bensì da ‘raccoglitore’ sensibile, Antonio Lazzari considerava in modo particolare gli oggetti in suo possesso: ne ‘prendeva in carico’ il tempo, e questo tempo lo incorporava in sé. Viviamo nel tempo, il tempo ci forma e ci contiene, anche se è difficile e forse impossibile capirlo… Viveva circondato dai libri, dai suoi campioni geologici, da qualche opera d’arte, e infine da alcuni reperti archeologici. Raccoglieva per conservare, e conservava per proteggere...
Un piccolo esempio, davvero ai limiti del credibile. Nella notte tra il 22 e il 23 marzo 1944 Antonio Lazzari raccolse, nel Devoli, un campione delle ceneri del Vesuvio in eruzione, che erano arrivate fino in Albania. (Dirigeva allora il campo petrolifero dell’AIPA - Azienda Italiana Petroli Albania.). Conservò le ceneri in una bustina, che portò con sé anche quando lui, con tutta la famiglia, fu deportato dai tedeschi nell’Italia nel Nord in un memorabile viaggio dal Devoli in “carro bestiame” – durato dal 4 al 14 giugno del 1944, con arrivo a Podenzano (prov. di Piacenza).
A distanza di decenni donò la bustina a Ludovico Brancaccio, suo discepolo prediletto, e questi ha donato a sua volta la bustina agli autori di un lavoro di approfondimento degli studi sull’eruzione. Conservare per proteggere… (Si veda in merito il saggio di Elena Cubellis, Aldo Marturano, Lucia Pappalardo apparso nei “Quaderni di Geofisica” (2013, fasc. 113).
Su questa idea di sensibilità – su questo tipo di rapporto con le ‘cose’ – occorre riflettere per raccontare mio padre. E per ‘raccontarlo’ occorre fissare subito un punto fondamentale. Se ogni vita è racchiusa in un’immagine prima, in un’architettura di impressioni incantate, nel ricordo di qualcosa che resterà sempre ineffabile, Castro è la traccia indelebile che ha segnato e accompagnato Antonio Lazzari. Nel suo cuore e nella sua mente, il paese natio è stato sempre un ricordo profondo, nostalgico, e (direi) mitico. Pensare a Castro era una vera e propria apnea nel passato...
Perciò, quando morì, fu giusto inserire – nel ricordo di lui – alcuni versi dell’antico Egitto, nei quali la morte era intesa soprattutto come ritorno in patria. A Castro voleva essere seppellito, e ora – come desiderava - riposa:
«La morte è oggi davanti a me / come quando un uomo desidera veder casa sua, /dopo molti anni passati in prigionia.» (Letteratura e poesia dell’antico Egitto, trad. di Edda Bresciani, Torino, Einaudi, 1969, sec. ed., p. 117 - circa. 2190-2040 a.C.).
Dinanzi a quel mare che dà il senso di un infinito presente…
Da geologo era abituato a indagare i tempi più lontani della Terra, compito per il quale occorre avere capacità di immaginazione, di ricostruzione e di visione di ciò che è stato. Non a caso le campagne geologiche di Antonio Lazzari erano esemplari per il modo in cui – esplorando un territorio – sapeva coglierne e descriverne gli aspetti e soprattutto la storia. Accanto alle lezioni, organizzò sempre anche altre iniziative didattiche e scientifiche. Tra queste, le campagne geologiche, che duravano più giorni e che mettevano in diretto contatto i giovani con il rilevamento sul campo e con le pratiche del geologo. Riteneva, a ragione, che la geologia e la geomorfologia non si potessero insegnare semplicemente nel chiuso delle aule universitarie. Per quel tempo era una assoluta innovazione didattica, che fu molto apprezzata dagli studenti.
Si aggiunga che sapeva leggere nelle pietre le loro trasformazioni nel tempo, sicché diventavano trasparenti per coloro che studiavano geologia e che imparavano a vedere la storia di un ‘campione geologico’ dietro il suo aspetto esteriore. Le pietre – “assenza di vita, immobilità visibile della morte” (Caillois) – parlavano ad Antonio Lazzari, che sapeva ascoltarne il silenzio, e tradurlo in parole per i suoi studenti. Un dialogo che faceva delle pietre quasi un affascinante interlocutore. Silenzioso e parlante al tempo stesso.
Non solo da geologo ma come da appassionato di storia, Antonio Lazzari è stato sempre volto al passato, e non solo al presente, nel quale pure era impegnato.
Il passato è stato l’humus di Antonio Lazzari, esplorato, forse anche idealizzato, senza dubbio amato. Questo amore per ciò che è stato lo ha formato intellettualmente, spiritualmente e affettivamente per tutta la vita. E mi sembra di poter affermare che la passione per lo studio della terra – delle sue dinamiche sotterranee o di superficie – sia diventato anche, in alcuni casi, capacità di ‘visione’ per il futuro. Quando si scoprì il petrolio in Basilicata, dinanzi a lui si aprì un mondo nuovo, trasformato dal lavoro e della ricchezza che questa nuova risorsa avrebbe potuto donare.
La conoscenza del passato aveva condotto a una scoperta, e questa scoperta lasciava intravedere l’orizzonte di un futuro migliore: almeno nel desiderio e nelle speranze di mio padre. Un Mezzogiorno più prospero, più ricco, e le sue genti riscattate da secoli di povertà e di duro lavoro.
Dal racconto della terra e delle sue gesta, Antonio Lazzari raccoglieva idee ed emozioni non diverse da quelle dell’agricoltore o del pescatore, eroi silenziosi e pazienti anch’essi. E se una sensibilità è in grado di comprendere il susseguirsi delle ere geologiche, si può capire l’amore per ogni oggetto che provenisse dal passato: dalla bellezza di un ciottolo alle tracce delle antiche società, e cioè ai manufatti che queste società hanno prodotto. Da mio padre, certamente, perfino il petrolio era avvertito come una gemma, un regalo – prezioso – della terra a tutta l’umanità.
Non da geologo, ma da persona sensibile alla storia degli uomini, si era volto da ragazzo ai misteri di Grotta Romanelli e della Zinzulusa. Ne aveva appreso le vicende e le ricchezze da altri, di lui più anziani.
Poi il suo sguardo si era ampliato. Se nell’adolescenza si era interessato di preistoria, divenne intensa, in seguito, l’ammirazione per il mondo romano: non tanto per le conquiste, quanto per le opere, che permanevano e permangono attraverso i secoli. Dai monumenti di Roma a quelli di cui i romani hanno disseminato il Mediterraneo e le regioni che su di esso gravitano.
Tuttavia, eguale amore riservava anche a più umili manufatti, come quelli che compongono questa raccolta. Li raccoglieva per proteggerli e per custodirli amorosamente. Con sensibilità, con l’atteggiamento di chi conosce qualcosa, e vi trova il segno significativo di una continuità nel tempo.
Ed ecco, ora, questo percorso tra una serie di oggetti conservati per lunghi anni. Un museo è come un luogo d’ambra che condensa un tempo esteso e lo offre allo sguardo degli uomini del presente. Vi si coglie la preziosità del tempo e vi si percepiscono l’impegno, la passione e l’abnegazione dei suoi curatori.
Un Museo non conserva soltanto oggetti. Un museo è un luogo che diventa un saldo punto comunitario, con il potere di far rivivere nello sguardo il passato. È un luogo radicato nel territorio ma dove – soprattutto - rivivono (forse più che altrove) innumerevoli esistenze umane ormai scomparse.
Per queste esistenze non si può immaginare luogo più adatto, ed è bello saperle ancora presenti qui, proprio in queste sale, e insieme ad esse anche l’ombra sorridente di Antonio Lazzari, che – al di là del tempo – contempla ciò che ha amato qui sulla terra.
Francesco
Napoli, 4 maggio 2019.